106 – Leggendo il Tagebuch (02.04.06)

Il pensiero della settimana, n. 106 

 

Dal 4 aprile sarà nelle librerie,  Liana Millu, Tagebuch. Il diario del ritorno dal Lager, Giuntina, Firenze 2006, pp.103, € 12. Il libro verrà presentato a Ferrara giovedì 20 aprile alle ore 16 presso la  Biblioteca Ariostea. In appendice si riporta la IV di copertina. 

 

In fatto di religione Liana Millu si definiva agnostica. La convinzione è condivisa anche dai suoi lettori. Non però in relazione a Dio. Per loro il riferimento è innanzitutto la vita. Agnosticismo in questo caso non equivale a distacco, scetticismo, dubbio; significa senso del mistero, consapevolezza di non saper afferrare il bandolo dell’esistenza. Non ci si riferisce all’origine remotissima della vita sul nostro pianeta. Da quell’abisso temporale non si possono infatti ricavare prospettive trasferibili in modo diretto al nostro breve vivere. Il senso del mistero coinvolge invece anche il piccolo arco temporale esteso dal giorno certo della nascita a quello indeterminato ma sicuro della morte che ci sta davanti.

«Quando si è troppo occupati a vivere mancano il tempo e la voglia di analizzare la vita» (p. 85).  Allorché si legge il Tagebuch non si è troppo coinvolti nel gorgo della vita. Il lettore è perciò costretto a prendere le distanze dallo scorrere intenso (o dissipato)  del proprio vivere. Quelle pagine lo invitano a osservare e analizzare se stesso e gli altri così come fa Liana per quasi tutto il suo diario. L’operazione è aperta in due direzioni contrapposte. Una, a differenza dell’altra, conosce l’esito, tipico della cultura contemporanea, in cui l’osservazione di sé e degli altri conduce a una frantumazione prospettica. Il promontorio conquistato facendo un passo indietro porta a moltiplicare in maniera esponenziale osservatore e osservato. L’aumento dei punti di vista comporta anche quello dell’incapacità di comunicare. Nella cultura italiana degli anni Trenta nessuna voce in proposito eguagliava quella di Pirandello: «Quanti siamo stasera, Pirandello Maestro? 7 come siamo realmente, più i 7 che crediamo di essere, più i 7 come ci vedono gli altri e, dato che ognuno vede differente, soltanto questi sono 49. Dunque siamo 63. E ognuno di questi 63 non conosce l’altro. 7 mondi intorno alla tavola, 7 circoli chiusi» (p. 71). 

Non vi è solo questo esito. Vi è pure un’altra possibilità. Essa si manifesta nel convincimento che la ragione osservatrice possa essere più consolante che inquietante. Il suo esito non è la frantumazione, ma la serenità del distacco: «Vanitas vanitatis… Stamani soffrivo. Se stasera posso cominciare con vanitas vanitatis comincerà ad alleggerirsi la pena. Insomma è il contrario di Leopardi, lui trovava nella ragione la causa del male; io l’adopero come supremo rimedio; a lui inaspriva, a me addolcisce» (pp. 80-81). La calma serenità della non passione non è né rassegnazione, né tanto meno acedia. Al contrario, questo distacco esprime un composto amore  per la vita.

Osservare può essere rasserenante se conduce alla pietas. Saper guardare è un modo per discernere e per scorgere l’esistenza di persone (non di maschere). La capacità di guardare ci guida per mano fino a farci cogliere che la gente non è altro che un insieme di individui come noi. Proprio a questa conclusione ci conducono alcune pagine del Tagebuch  che ritraggono soldati tedeschi dopo la sconfitta: «Ah, ecco volevo dire la scena della stazione. Il piccolo atrio è pieno di giovanotti ebrei, robusti, ingrassati, dall’aria sicura; un polacco dal viso torvo, la coccarda bianco-rossa all’occhiello, stivaloni insolenti, discorre con loro, passeggiando su è giù. E in un angolo, vicino alla biglietteria, un soldato tedesco. È giovane, potrà avere poco più di vent’anni. È alto, quadrato, con un viso roseo e  rotondo, ma di una rotondità che tradisce ora lo smagrimento, uno di quei visi che nei tempi orgogliosi giravano pieni di primitiva arroganza. L’uniforme è ingrinzita, sporca, gli stivali rotti e impolverati, accanto a lui un grosso sacco adattato a zaino  con due pezzi di fune; si appoggia a un bastoncino fatto col ramo fresco di un albero. È in tutta la sua persona, nell’abito come nel corpo, la stanchezza greve della disfatta, quasi uno sbalordimento doloroso come di uno che all’improvviso si sia risvegliato in un amarissimo mondo e ne rimanga schiacciato ma non ancora convinto. Gli altri non si curano di lui ma egli non si muove, solo, di tanto in tanto, senza rialzare la testa, getta su loro lo sguardo sfuggente di una bestia catturata e impaurita, lo sguardo del cane che aspetta il colpo. Lentamente si avvicina allo sportello, prende il biglietto, rimette con cura nella tasca rigonfia il fazzoletto dove ha avvolto il denaro. Prende il sacco, con sforzo se lo adatta sulle spalle e col bastoncino in mano si avvia all’uscita, cercando un passaggio tra il gruppo dei vincitori; scompare, un po’ curvo.

E io penso: odio quest’uomo? Potrei, se non io direttamente, godere nel vederlo maltrattare, nel vederlo umiliare? Penso e mi dico: “lui” no. Uno no. Perché quest’uno posso osservarlo e comprenderne l’infinita stanchezza, l’infinita umiliazione, persino la bestiale pura. Per me latina una creatura umana non potrà mai diventare un pezzo, uno “Stück”. Per condannarli dovrebbero essere molti, diventare cioè un’astrazione» (pp.66-67).

L’altro non è odiato perché è riconosciuto come persona simile a noi. Se lo si guarda lo si può comprendere. Tuttavia anche lo sguardo pietoso conosce l’insidia. In un certo senso non è improprio dire che si è indotti ad amarlo così come avviene per le cose. La pietas del distacco non è ascolto. Qui gli occhi valgono più degli orecchi, la vista più del dialogo. Gli sguardi non si incontrano ancora in un bacio visivo in cui si fondono osservatore e osservato. Il rischio è reale. Tuttavia esserne consapevoli equivale a non esserne prigionieri. Una passione troppo accesa può traboccare  fino a  sfociare in un vitalistico senso di scherno rivolto ai mediocri. Il composto amore per la vita fa invece subentrare la pietà là dove c’era disprezzo. Non si tratta di un mutamento di poco conto: «Il bosco è magnifico ora. Il sole tra i tronchi dei giovani pini. Momenti di calma assoluta, punteggiati dal mormorio delle voci del bosco […] Amiche cose! Nella categoria degli affetti è a loro che toccherebbe il primo posto. Poi le bestie, ma gli animali hanno ancora troppo dell’umano. Forse la migliore saggezza è, quando proprio non se ne può fare a meno, di considerare e amare gli uomini alla stregua delle cose o, dato che questo presenta sufficienti difficoltà, come dice Nietzsche, della vita. Cioè no. “Con molto amore e con molto disprezzo”? No. “Con poco amore e con molta pietà”» (pp. 76-77).

Piero Stefani

Appendice

Siamo di fronte a pagine eccezionali e assolutamente inedite. Nell’autunno del 1944 Liana Millu fu trasportata da Birkenau al campo di concentramento di Malchow nel Meclemburgo. Liberata nel maggio del 1945, trovò, in un fattoria abbandonata, un Tagebuch (diario) e una matita. Con quest’ultima riempì, giorno dopo giorno, tutte le 112 facciate che aveva a disposizione. Lo fece in un arco di tempo che va da maggio al 1° settembre del 1945, data nella quale varcò il confine italiano. La Millu era familiare con lo scrivere:  prima delle leggi razziali aveva collaborato con alcuni giornali. Le pagine del diario, stese innanzitutto per se stessa al fine di recuperare la propria dignità umana, manifestano qualità di scrittura non comuni nell’osservazione dei propri stati d’animo, nelle descrizioni dei compagni, nei mirabili ritratti di due soldati tedeschi dopo la sconfitta, nel balenare dei ricordi del Lager, nei progetti per i racconti che confluiranno nelle opere successive.

Per volontà dell’autrice il diario poteva essere letto e pubblicato solo dopo la sua morte.

 

Liana Millu (Pisa 1914 – Genova 2005), reduce da Auschwitz Birkenau, è stata, con la parola e con gli scritti, una delle voci più incisive e coinvolgenti legate alla testimonianza sui Lager. La Giuntina ha già pubblicato il suo testo più alto, Il fumo di Birkenau.

 

106 – Leggendo il Tagebuch (02.04.06)ultima modifica: 2006-04-01T15:50:00+02:00da piero-stefani
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