Le statistiche e il carpe diem (01.03.03)

Il taccuino di Piero Stefani 

 

Le statistiche, si sa, sono astrazioni. Presentano  medie  che,  proprio perché tali, non corrispondono al vissuto individuale di ciascuno. Il fatto che la speranza di vita si stia allungando non ha nulla da dire alla persona affranta per aver perso in giovane età un proprio caro. Tuttavia ognuno, in maniera più o meno consapevole, produce le proprie personali statistiche. Dal suo angolo di visuale vede come vanno le cose per lui e generalizza le conclusioni. Si può discutere sulla precisione con cui l’ISTAT rileva  la crescita del costo della vita, ma la convinzione di molti non si confronta con simili diatribe: i prezzi aumentano al di là di ogni calcolo perché quello che fino all’anno scorso valeva mille lire adesso costa un euro, cioè quasi il doppio.

Una voce colta nell’aria: si muore sempre più giovani. Quale ottica ha condotto questo anonimo signore, ascoltato casualmente per la strada, a una conclusione che  cozza contro tutti i dati ufficiali? La risposta emergeva dalla parole immediatamente successive: quell’uomo lavora al pronto soccorso e a fine settimana gli capita spesso di guidare ambulanze. Il suo punto di osservazione lo pone ogni week end  davanti a giovani  andatesi a schiantare contro alberi o uccisi in scontri frontali. Sabato dopo sabato i morti si accumulano e formano un’ecatombe. La conclusione teorica è che la morte ghermisce  sempre più in giovane età.

Questa constatazione ha anche un risvolto pratico: visto che del «doman non c’è certezza» e che sempre più precocemente si abbandona questa vita, non ha senso impegnarsi per il futuro. Conservare, risparmiare, cercare di garantire a sé una vecchia sicura e ai figli un avvenire decoroso erano tipici valori borghesi, di cui qualcuno  gode ancora gli ultimi frutti. Tutto ciò richiede l’esistenza di una certa stabilità sia nell’ordine sociale sia in quello esistenziale. Il Novecento può testimoniare quanto possano essere terribili i risvolti connessi a questa mentalità senza della quale  i regimi di destra, compresi quelli autoritari o totalitari, avrebbero perso gran parte del consenso da essi goduto. Quello che bisogna comprendere è che il carpe diem evocato dall’anonimo infermiere  è a un tempo rovescio speculare e figlio legittimo di quella forma mentis borghese. Vivere alla giornata all’insegna del piacere immediato è antitetico a sacrificarsi per il futuro  proprio e dei propri figli, ma questo capovolgimento ha luogo solo perché è venuto meno il presupposto della relativa omogeneità nei tempi e nelle circostanze richiesto dalla mentalità parsimoniosa. Nell’uno e nell’altro caso il riferimento rimane in senso stretto egocentrico. Adesso ci si dà da fare per godere la propria vita, esattamente come un tempo ci si impegnava a tutelare la propria vecchiaia, l’avvenire dei propri figli e si facevano pratiche religiose volte a garantire la propria salvezza eterna.

Non è una scoperta moderna che carpe diem e pessimismo radicale  siano le risposte più efficaci quando si vive in contesti che instillano in modo pervasivo il senso della precarietà. Né è vero, come voleva il Pascal, che gli uomini non potendo guarire la morte, la miseria, l’ignoranza hanno deciso, per vivere felici, di non pensarci. A smentirlo è proprio il nostro anonimo infermiere: cogliere l’attimo presuppone  in se stesso il pensiero della morte (in ciò il biblico Qohelet ha più ragione del grande pensatore francese). L’autentica risposta al vivere all’insegna dell’immediatezza non sta nell’indicare la fugacità delle cose e l’inarrestabile trascorrere del tempo. Queste realtà infatti costituiscono addirittura i presupposti di quel modo di vivere. L’alternativa si trova in un  senso di responsabilità avvertito nei confronti degli altri, dispiegato nel presente e poco propenso alla tutela del proprio futuro (il vangelo

lo chiama «perdere la propria vita»). Il ragionamento del nostro infermiere presuppone la comoda convinzione di assumere come fatalità quanto è invece l’esisto sia di un determinato stile di vita sia di scelte collettive scriteriate. L’impegno etico in senso proprio non è altro che questo: vedere sotto l’insegna della responsabilità quel che ad altri appare un semplice, ineluttabile  destino.

 

Le statistiche e il carpe diem (01.03.03)ultima modifica: 2003-12-25T12:35:00+01:00da piero-stefani
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