I luoghi delle religioni (12.04.03)

Il taccuino di Piero Stefani  

 

Il secondo ciclo di incontri  del «Forum delle religioni a Ferrara» si è chiuso con una serie di interventi dedicati ai luoghi. Per una volta l’attenzione non è stata riservata direttamente alle comunità o ai gruppi, ma agli spazi connotati in modo religioso presenti nell’urbanistica della nostra città (un tema che certo avrebbe catturato l’interesse di Luciano Chiappini, per tanti anni instancabile animatore della  Deputazione di Storia patria). Per venire a capo di questo tema (a cui saranno dedicati pure i taccuini delle prossime settimane) bisogna saper leggere la città; per farlo occorre essere in grado di decodificare il linguaggio con cui è scritta. Spesso si ripete la frase di Carlo Levi secondo cui “le parole sono pietre”; è vero anche il contrario: “le pietre sono parole”; ma per capirle è necessario saperle leggere.

 In questa puntata cominciamo ad occuparci  degli spazi ebraici. Dal punto di vista della sua collocazione urbanistica, l’attuale presenza ebraica a Ferrara risente ancora in modo strutturale di due poli formatisi nella rapida successione di anni che va dal 1626 al 1627. La prima data segna l’apertura dell’attuale grande cimitero posto in via delle Vigne; la seconda la costituzione del ghetto a opera dell’autorità pontificia. Ancora oggi, a quasi quattro secoli di distanza, con la sola modesta eccezione del piccolo cimitero sefardita-lusitano di via Arianuova, i riferimenti restano quelli. Ciò ovviamente non significa che non siano avvenuti mutamenti, nessuno di essi però ha comportato la ridefenizione di quell’asse.

Il ghetto è per antonomasia area separata e discriminata in cui prevale una componente interna. Anche un’aula sinagogale s’impernia a propria una volta su una dimensione interna: non è mai un luogo che si definisce in se stesso  senza far parte di un complesso più ampio. Entro l’area che in cui sarebbe sorto il ghetto, la data più significativa per  definire l’attuale spazio ebraico è, in effetti, il 1485, l’anno in cui Ser Samuele Melli (o, secondo le ricerche più recenti, Mieli) donò l’edificio che è ancora oggi sede della comunità ebraica. Entro di esso sono state via via aperte tre sinagoghe: l’italiana, la tedesca e il più piccolo oratorio fanese. Quelle aule sinagogali non avrebbero avuto senso se affianco a esse non ci fossero stati altri spazi: il tribunale rabbinico, il bagno rituale, luoghi dedicati allo studio e all’abitare. Questo atto di inglobare la sinagoga entro altro, con la sola avvertenza che sopra di essa non ci fosse nulla (salvo, eventualmente un’altra sinagoga), indica fisicamente che la preghiera non può separarsi dagli altri aspetti della vita ebraica: lo studiare, il giudicare, le purificazioni rituali e così via. Per questo non c’era bisogno di monumentalità esterna. Tutto lo sforzo era rivolto a impreziosire l’interno; ciò valeva anche per l’altra sinagoga, quella spagnola, inserita nel cuore di un edificio (gli attuali nn.39-41 di via Vittoria) divenuto, a partire dalla seconda metà del XIX sec., una casa di riposo presa a modello dall’intero mondo ebraico italiano.

Fin qui si tratta di un interno costituito come tale in virtù di spinte autonome; tuttavia sulla separatezza del ghetto pesa anche una forte discriminazione esterna. Per rendersene conto basta leggere alcune pietre. Imboccando via Contrari dalla parte di via Terranuova si vedrà a sinistra un ampio muro privo di finestre. Non si tratta della cinta di un giardino, ma di un edificio. Quale costruzione può essere priva di aperture rispetto alla strada? Una sinagoga. Si tratta infatti di quella tedesca; la via sottostante era fuori dal perimetro del ghetto e il luogo ebraico non poteva affacciarsi sull’esterno (le finestre della sinagoga  danno  sul cortile interno). Per quanto non in epoca successiva qualche apertura sia stata apportata, quell’insieme compatto di mattoni è ancora testimonianza visiva di una forma di discriminazione imposta agli ebrei  dalla società cristiana circostante. Non possiamo più vedere i cinque cancelli che chiudevano il ghetto, si può però scorgere ancora quel muro ed esso dovrebbe essere sufficiente per presentarsi come testimonianza e come monito.

I luoghi delle religioni (12.04.03)ultima modifica: 2003-12-25T12:13:00+01:00da piero-stefani
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