Essere felici (15.03.03)

Il taccuino di Piero Stefani 

 

Confrontiamo tra loro gli incipit di due grandi testi dell’Occidente.  Aristotele, nelle prime righe della Metafisica, afferma che tutti gli uomini tendono per natura al sapere. Lo prova l’amore per le sensazioni le quali sono attraenti in loro stesse a prescindere dall’utilità. Tra tutti i sensi eccelle la vista. L’orientamento della persona umana verso la conoscenza è qui presentato come un dato non come un diritto. Il fatto che  la natura ci abbia dotati di occhi è di per sé condizione necessaria e sufficiente per godere della vista. Il senso di benessere che si ricava dall’esercizio di quella facoltà significa semplicemente che si sta vivendo in conformità alla propria natura.

L’inizio della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti (1776) afferma l’autoevidenza sia dell’originaria uguaglianza tra gli uomini sia del fatto che gli esseri umani sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili: la vita, la libertà e la ricerca della felicità. L’umana propensione a essere felici a fine ’700 diviene diritto. Tuttavia, per quanto le creature umane abbiano una intrinseca aspirazione alla felicità, in seguito si è stentato a riproporre quest’affermazione nell’ambito dei diritti. Una ragione di ciò può essere colta guardando la lingua inglese: in essa l’etimo collega happy, happiness a to happen, “accadere”. La felicità di una persona dipende, in non scarsa misura, da quanto capita e si tratta di una dimensione in gran parte sottratta al proprio controllo. Quale istituzione può mai garantire a qualcuno di essere felice?

Naturalmente di ciò erano ben consapevoli gli estensori della Dichiarazione, i quali parlavano non di felicità bensì di “ricerca della felicità”. Qualora ciò non confligga con l’analogo diritto goduto dagli altri, a nessuno può essere impedito di intraprendere le vie che ritiene più consone al proprio tentativo di essere felice. Qui si misura la differenza: Aristotele non affermava che vi sono molti modi di far funzionare gli occhi. In effetti  ce  n’è uno solo, quello di cui ci ha dotato la natura, che ci impedisce di vedere lontano come l’aquila o di avere la visione panoramica della mosca. Le vie per ricercare la felicità sono invece molteplici. In questo senso tale diritto si coniuga  strettamente a quello della libertà.

La problematicità resta evidente. I pessimisti direbbero che la natura ha messo nell’animo umano una simile propensione alla felicità solo per fargli gustare in modo più fiero lo scacco. La sete di essere felici rende più acuta l’arsura della infelicità. Si gode perciò di un diritto che non giungerà mai alla sua meta. Tuttavia, anche senza imboccare la via del pessimismo radicale, ci si può chiedere se la ricerca della felicità possa avere qualche plausibilità qualora sia pensata sulla falsariga della definizione riduttiva secondo cui la libertà di ciascuno finisce là dove inizia quella dell’altro. I modelli dell’“iniziativa privata” e della “libera concorrenza” non si adattano alla felicità. La ragione è semplice: si può essere  ricchi a scapito degli altri, ma ripugna sostenere che la felicità sia soggetta a queste stesse condizioni; a vietarcelo è il senso etico più profondo racchiuso nell’animo umano. Non meno della vista, anche la felicità è legata a condizioni immodificabili.

Giovanni Paolo II in un Angelus di fine gennaio ha detto: “mai potremo essere felici gli uni contro gli altri”. Come ha acutamente notato Gianfranco Brunelli (Il Regno-attualità 4,2003, 73), si tratta di “una terminologia inconsueta per il linguaggio del magistero, ma udibile: conseguire la felicità è nozione aristotelica rivisitata dalla filosofia anglosassone, che entra nel dibattito politico proprio con la Dichiarazione di indipendenza americana”. Queste parole del papa conterebbero quindi tanto un’indicazione politica a favore della pace quanto un indiretto monito agli Stati Uniti. Esse però devono venir accolte anche come parola etica per la vita di ciascuno. Essere a favore degli altri è irrimediabilmente falso se assunto come  ricetta per diventar felici; tuttavia resta vero che non c’è felicità degna di questo nome qualora essa avvenga a scapito degli altri.

 

Essere felici (15.03.03)ultima modifica: 2003-12-25T12:25:00+01:00da piero-stefani
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