Eccomi (18.01.03)

Il taccuino di Piero Stefani

 

Nei giorni ormai trascorsi dell’Avvento si  è ascoltata una frase che si udrà di nuovo il prossimo 25 marzo, festa dell’Annunciazione. Sono le parole contenute nella risposta di Maria a Gabriele: «Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc  1,38). Essere «serva del Signore» è qualifica alta e a molti l’espressione richiamerà alla mente e al cuore la figura di Mons. Mori la cui presenza resta viva nonostante il trascorrere degli anni (E. G. Mori, Figlia di Sion e Serva del Signore, EDB, Bologna 1988). «Avvenga di me secondo la tua parola» allude a un compito unico e irripetibile affidato alla giovane donna di Nazareth. Quanto inserisce Maria  nella storia biblica e nel contempo l’avvicina a tutti coloro che si sentono chiamati è però soprattutto la prima parola: «eccomi».

Vocazione, chiamata sono termini che hanno grande portata nella vita di molti. Il discorso non è semplicemente quello, spesso ripetuto in ambito cattolico, stando al quale non esiste solo la vocazione religiosa: sposarsi, lavorare, impegnarsi nel volontariato e via dicendo sono anch’esse forme di chiamata. Il tema è molto più radicale  in quanto strettamente intrecciato con la responsabilità di rispondere a una voce che viene da fuori. Nessuno si autochiama. La vocazione implica una rinuncia a se stessi. La decisione infatti sta nella risposta a quanto  giunge dall’esterno e non nella realizzazione dei propri desideri. Si può trascorrere la vita intera ad avere cura di sé nei modi più raffinati e nobili, senza mai udire una chiamata. Ciò avviene semplicemente perché non vi è un orecchio capace di prestare ascolto a quel che viene dal di fuori. Il sacerdote e il levita della parabola evangelica che passarono oltre, di fronte al muto grido che veniva dalla vittima  mezza  morta non risposero, a differenza del «buon samaritano», «eccomi» (Lc 10,29-37).

«Eccomi» vuol dire semplicemente «sono qua». A rendere chiaro il suo significato è prima di tutto il suo contrario fisico e spirituale: «essere altrove», condizione espressa dalla parola «alibi». Chi risponde «eccomi» non  cerca alibi; chi tira dritto per la sua strada diviene lui stesso un «alibi». Per saperlo non è necessario scendere da Gerusalemme a Gerico, basta  trovarsi  agli  angoli delle nostre strade, dove si è quotidianamente interpellati. E ogni volta si ripropone la domanda se fermarsi o tirare dritto, trovando qualche alibi. Il fatto di non poter oggettivamente sostare ogni volta e rispondere affermativamente a ogni richiesta, dimostra quanto sia serio essere interpellati. Avere cura di sé può  venir dotato anche di una curvatura altruistica corroborata dalla nobile soddisfazione derivata dall’occuparsi degli altri. Tutto diverso il caso della chiamata, lì bisogna rispondere e non gestirsi. Per questo ogni volta si è nudi; sempre bisogna assumere il rischio di decidere. «Eccomi»,  la grande parola che contraddistingue le chiamate bibliche di Abramo (Gen  22,1), di Mosè (Es 3,4), di Isaia (Is 6,7-8) e di Maria,  si presenta, sia pur in modo diverso, ai crocicchi delle nostre vie. Anche qui essa deve presentarsi come concreta risposta a una reale capacità di ascolto e di discernimento.

Due sono i grandi pericoli che incombono sulla chiamata. Il primo sta nella difficoltà a comprendere da chi viene la voce. Non ogni esteriorità è buona. Abramo rispose «eccomi», ma  il Signore gli chiese  di offrire in sacrificio Isacco. Come ha insegnato Kierkegaard, la fede  non stava nella disposizione di uccidere il figlio, ma nell’essere convinti che quell’ordine giungesse da Dio e che quindi, pur nella sua paradossalità, si collocasse nell’orizzonte della salvezza.  Non ogni appello che viene dal di fuori è soggetto a queste regole. La voce della sofferenza è sempre imperativa, ma vi sono modi errati di venirle incontro. Il secondo pericolo è la falsa certezza che avendo risposto a una chiamata la propria vita si sia trasformata in una missione  e che quindi quell’esistenza sia da allora in poi nobilitata in modo stabile  ai propri e agli altrui occhi. In questo caso  la chiamata è  ricondotta dentro  la spirale della cura di sé.  L’«eccomi», la risposta  dei pii, indice di sottomissione e prontezza (come la definì il grande commentatore medievale ebreo Rashi)  scivola allora a poco a poco entro le sabbie mobili dell’autoreferenzialità.

Eccomi (18.01.03)ultima modifica: 2003-12-25T13:05:00+01:00da piero-stefani
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