1 – Dei Verbum (30.11.03)

Il pensiero della settimana n.1 

 

Secondo l’atteggiamento assunto dal sacerdote  Esdra che si fa scriba (sofer da sefer libro) e secondo la predicazione del Regno e dell’Evangelo che avviene nelle sinagoghe, la lettura e la stessa interpretazione attualizzante e inverante della Parola è un fatto laico. Non si tratta di status, è questione di intelligenza spirituale. Il culto è largamente sacerdotale, la interpretazione, sorella povera della profezia, eminentemente laica. Che la compia un sacerdote  o  la proponga chi non è tale, la sua voce resta  diversa.

Affermare queste cose non significa uscire, ipso facto, dal respiro profondo della Chiesa cattolica, la quale affida al magistero il sigillo dell’unità e della giusta dottrina? Si sarebbe obbligati a rispondere in modo affermativo solo se laico significasse una categoria non una modalità. Esdra resta sacerdote e guida autorevole appunto perché, di fronte alla parola, si fa scriba. Laico deriva da laòs popolo; la lettura e l’interpretazione laica della Parola non significa che entro la comunità dei credenti tutti abbiano la stessa funzione, essa vuol dire che lo stesso magistero  può svolgere il suo compito e  conseguire la sua pienezza solo là dove la Parola coinvolge sia  coralmente sia personalmente il popolo dei credenti. Il magistero  è un volto della Parola condivisa (colto in questa luce l’ottavo capitolo di Neemia rimane paradigmatico).

Il testo conciliare in assoluto più caro  alla grande figura di monaco, laico e presbitero  che fu  Benedetto Calati era la Dei Verbum, da lui considerata il dono più qualificato del Vaticano II. «È commovente che il concilio si ponga in “religioso ascolto” (proemio) e che affermi che la Chiesa cresca con  questo ascolto nella storia (n.8), “finché in essa vengano a compimento le opere di Dio” e che i fedeli possano finalmente riappropriarsi della Scrittura (n. 25)» (B. Calati, Il primato dell’amore, Edizioni di Camaldoli, 2001, p. 22).

La Dei Verbum al n. 8 afferma che la Parola cresce sia con la comprensione e lo studio dei credenti, sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro «i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità».  Con quei tre «sia» essa non indica l’esistenza  di vie parallele e neppure semplicemente  complementari. Qui è opportuno abbandonare ogni linguaggio geometrizzante. Quei tre «sia» costruiscono i pilastri di un’esperienza di comunione in cui ogni termine si realizza pienamente solo in virtù degli altri due. Un magistero non sostenuto dalla riflessione e dallo studio dei credenti è sterile indottrinamento, non meno di quanto l’autodefinirsi  in proprio dei fedeli laici sia rottura della comunione.

Gregorio Magno – come ha ricordato tante volte Benedetto Calati – quando spiegava la Parola al popolo era solito affermare che ciascuno è organo della verità e che quindi colui che ha il dono della maggior comprensione è tenuto a illuminare gli altri. Questa prassi non rappresentava una semplice dimensione pastorale (per quanto profonda); essa era un modo per additare, anzi per costruire il solo ambito in cui si può davvero dar vita a una comprensione piena della Scrittura. Non si può comprendere la Parola di comunione senza vivere la comunione in cui fedeli e pastori sono convocati e interpellati dalla stessa Parola.

Piero Stefani

 

1 – Dei Verbum (30.11.03)ultima modifica: 2003-11-29T16:10:00+01:00da piero-stefani
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