Serpenti e colombe (12.10.02)

il taccuino 

Non di rado le circostanze invitano a porre in rilievo aspetti non particolarmente evidenziati di una figura già nota. Non  sorprende, ad esempio,  che, dati i tempi, si presti sempre maggior attenzione all’atteggiamento assunto da S. Francesco nei confronti dei musulmani (cfr.  il  cap. «San Francesco e l’Islam» del recentissimo U. Sartorio, Credere in dialogo, Edizioni Messaggero, Padova 2002).

Dal punto di vista storico  è arduo ricostruire con precisione le modalità dell’incontro avvenuto in Oriente tra Francesco e l’emiro d’Egitto al-Kamil (cfr. F. Cardini, In Terrasanta, il Mulino, Bologna 2002, pp.211-213), più sicuro è invece rivolgersi alla poco posteriore  Regola non bollata (vale a dire non ufficialmente approvata dalle autorità) che contiene lo spirito più autentico del Santo di Assisi. Il suo capitolo XVI è dedicato ai frati che per divina ispirazione vogliono andare «tra i Saracini e gli altri infedeli». Esso si apre alludendo alla frase evangelica rivolta ai discepoli i quali, essendo inviati come pecore in mezzo ai lupi, devono essere prudenti come serpenti e semplici come colombe (Mt 10,16). Dopo aver dichiarato l’impossibilità di partire senza il permesso dei superiori,  la Regola prosegue affermando che i frati giunti tra gli «infedeli possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Uno è che non facciano liti o dispute, ma ‘siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio’ (1Pt 2,13) e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola perché credano in Dio onnipotente Padre, Figlio e Spirito Santo […] e siano battezzati e si facciano cristiani, poiché ‘se uno non rinascerà per acqua e Spirito Santo non potrà entrare nel Regno di Dio’ (cfr. Gv 3,5)».

 

 «Vi mando come pecore in mezzo ai lupi»; questa frase indica, come vogliono molti, una dichiarata «sete del martirio» (Paradiso, XI,100)? La duplicità dell’ammonimento evangelico invita in proposito alla cautela:  si deve essere tanto  serpenti astuti quanto semplici (inermi?) colombe. Non va dimenticata la prima indicazione orientata assai più alla salvaguardia che all’offerta della propria vita; il che non toglie che possano intervenire momenti in cui è chiesto di essere arrendevoli. In ogni caso la duplicità dell’allusione ai «serpenti» e alle «colombe» sembra leggibile in corrispondenza alle due modalità di soggiorno tra gli «infedeli»: la prima che invita a non far dispute e ad essere soggetti ad autorità, la seconda  indirizzata verso l’ annuncio.

 

L’espressione «non facciano dispute… e confessino di essere cristiani» va letta però anche «dall’altra parte». Essa presuppone infatti che l’autorità musulmana tolleri quei cristiani che, pur dichiarandosi tali, vivono nella «casa dell’Islam» astenendosi dall’annunciare il vangelo. Parlando un linguaggio un po’ più tecnico, Francesco sembra qui alludere a qualcosa di attinente o compatibile con lo statuto della dhimma, la forma giuridica classica con cui  le autorità musulmane accettano quelle comunità religiose appartenenti al «popolo del Libro (innanzitutto varie confessioni cristiani ed ebrei) che ne riconoscono la legittimità versando ad essa un’apposita tassa. Nel Medioevo il potere musulmano acconsentiva ad ospitare quei cristiani che non lo contestavano e non lo disturbavano. Nella logica del cap. XVI resta fondamentale prendere atto che il dichiararsi cristiani da parte delle «pecore» non fornisce di per sé una ragione per venire perseguitati dai «lupi».

 

 Questo modello non è più sufficiente quando, presi dalla sete dell’annuncio, i frati predicano il vangelo prospettando con questo atto che la religione musulmana in se stessa  non sia salvifica. Sembra difficile negare tale conclusione, specie tenendo conto del contesto e della citazione giovannea stando alla quale chi non è battezzato non entra nel regno di Dio (Gv 3,5). A questo punto si apre il paradosso dell’«evangelizzazione»  in cui il gesto compiuto per amore di altri e in vista della salvezza altrui può condurre l’annunciatore a perdere la propria vita.

 

Non bisogna fare di Francesco di Assisi quello che non è: un irenico precursore di un dialogo interreligioso che pone sul piano di parità tutte le fedi. Posizione.al giorno d’oggi non infrequente in Occidente e che implica un atteggiamento relativistico giustamente contestato da vari interlocutori (a iniziare da quelli musulmani). Non va però neppure dimenticato che, per altri versi, i nostri tempi sono assai più crudi di quelli medievali. Basti far memoria dei sette monaci trucidati meno di dieci anni fa nella trappa algerina di Tibhirine: essi, pur avendo assunto nelle loro vite lo stile del «serpente», si sono trovati a essere inermi «colombe».

 

Serpenti e colombe (12.10.02)ultima modifica: 2002-12-28T06:45:00+01:00da piero-stefani
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