Il ringraziamento incontra la sventura (05.10.02)

Il taccuino di Piero Stefani

 

La distanza spaziale e culturale induce spesso a stemperare le individualità.  Se un dramma o una disgrazia colpiscono chi ci è vicino, l’animo è turbato al ricordo di volti conosciuti o  quanto meno da quello di personalità individuabili; se simili avvenimenti capitano lontano i soggetti alla sventura sono più indistinti. La distanza viene però attenuata se si  narrano  storie umane.

Il  24  settembre un gruppo armato  fa irruzione nel tempio hindu di Swaninarayan a Ganhinagar nella regione del Gujarat. Il luogo è quotidianamente meta di pellegrinaggi e in quel momento in esso vi sono ben seicento persone. Vi sono spari,  a cui ne seguono altri quando dopo varie ore la polizia irrompe nell’edificio. Per terra giacciono circa una trentina di morti, i feriti si contano a decine. Tra essi una coppia  di poco meno di trent’anni. Secondo i canoni occidentali sarebbe da considerarsi ancora giovane, ma in quell’area del mondo gli anni si contano in modo diverso e il non aver ancora figli a quell’età appare un fatto anomalo. Gli sposi sono religiosi e pregano perché lei possa restare incinta. Così avviene e allora lui e lei si recano al tempio per ringraziare la divinità del grande dono loro concesso. In quel momento sono colpiti dagli spari, entrambi si salvano, non così il piccolo essere vivente contenuto nel grembo di lei.  La donna perde il figlio e anche i medici indiani, avvezzi a vedere mali per noi difficilmente immaginabili, fanno fatica a comunicarle l’accaduto.

Solo uno spirito gretto e preso dalle spire di una  malsana volontà apologetica potrebbe di fronte a tale episodio  disquisire se quella preghiera di ringraziamento sia stata  o no rivolta al vero Dio.  La dignità di quel dolore, particolarmente toccante per chi ha una sensibilità religiosa, impone precisamente che non ci si ponga affatto un simile problema. Quella sofferenza è uno degli infiniti dolori umani da affidare al mistero di Dio. L’episodio sarebbe ancor più tragico se coloro che hanno invaso il tempio armi alla mano avessero effettivamente agito per un odio alimentato da sedicenti motivazioni religiose. Qui torna in gioco il tema della lontananza. In realtà sappiamo ben poco del contesto reale  in cui  sono capitati gli  avvenimenti e conosciamo ancor meno gli autentici motivi  e le effettive convinzioni che hanno indotto la banda armata ad agire in quel modo. È meglio dunque astenersi da illazioni al riguardo e approfondire maggiormente l’asserita impossibilità di far valere in questo caso la distinzione tra religione vera e falsa.

Un’accusa oggi in auge sostiene tanto che questa distinzione è stata inventata dalle religioni monoteiste quanto  che essa, proprio nel momento in cui prospetta un invalicabile discrimine  tra vero e falso, sia inevitabilmente foriera di violenza. Dotte ricerche sostengono che non appena l’antico faraone Akhenaton propose la sua monoteista religione solare andò in frantumi la convivenza multireligiosa. Prima infatti era pluralisticamente impossibile pensare alla stessa categoria di religione come falsa: esistevano solo culti differenti. È davvero così? La logica monoteista deve, per definizione, ricondurre tutto a unico Dio. Da tale presupposto deriva la convinzione che anche l’«altro» non si dà senza Dio. A livello superficiale questo convincimento può facilmente coniugarsi con la colpevolizzazione di chi non riconosce quel Dio a cui pur deve la propria esistenza. Vista sotto questa angolatura nella fede monoteista è racchiusa una innegabile carica di violenza. Tuttavia, assunta in modo più profondo, essa esige che la semplice esistenza dell’«altro» divenga un’affermazione del Dio unico e lo sia proprio a motivo della sua diversità e non già della sua somiglianza. Se l’«altro» non è estraneo a Dio non può esserlo neppure per noi.  Questo vale sia per la storia dei coniugi indiani sia per la miriade di altre vicende dolorose che coinvolgono gli esseri viventi sparsi sulla faccia di tutta la terra. Invero, la presenza del dolore è troppo diffusa e saldamente annidata negli anfratti della vita di individui e popoli, perché una religione possa proclamare di detenerne  in modo diretto il segreto. 

Il ringraziamento incontra la sventura (05.10.02)ultima modifica: 2002-12-28T06:50:00+01:00da piero-stefani
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