612 – L’apporto alla Chiesa da parte di uno storico (30.04.2017)

Pensiero della settimana n. 612

L’apporto alla Chiesa da parte di uno storico [i]

    Cosa può apportare uno storico a una Chiesa locale e quindi, in senso più ampio, alla Chiesa? Il lavoro dello storico si prolunga; esso è anche nella sua opera e non solo nella sua persona. Si tratta delle opere  scritte sia in quelle che proseguono attraversi i suoi allievi. La storia, per sua natura, è una forma di sapere (non la sola) che lotta contro l’oblio. Anche i lavoro storiografici  invecchiano; tuttavia l’istanza di non cedere all’oblio resta; la ricerca storica è un’istanza che non tramonta con la vita di uno storico,  anzi essa continua  per definizione a riproporsi.

   Dunque qual è il contributo più significativo di uno storico alla Chiesa? Prima di tutto esso si trova nel suo essere storico come si suol dire a tutto campo e non già storico della Chiesa; espressione che, per quanto diffusa, rimane impropria; si può essere storici solo delle Chiese. Fin dal principio ci fu infatti una pluralità e per registrarla e descriverla occorre appunto essere storici e non già storico della Chiesa tanto meno se l’espressione è intesa in senso apologetico o ideologico. Bisogna cioè essere storici della Chiesa nel senso del sottotitolo della costituzione  conciliare Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Dunque non un “e” come si trattasse di due realtà disgiunte (la Chiesa e il mondo contemporaneo). Ma non solo; l'”in”, assunto in chiave storica, implica che per cercare di comprendere la Chiesa nella sua dimensione temporale occorre partire dal tentativo di comprendere il mondo. Impresa sempre e solo parziale che, comunque, per quanto riguardo il passato può avvenire soltanto attraverso un approccio storico. Ciò non comporta, come è ovvio, la riconduzione dell’annuncio evangelico al mondo; esige soltanto la volontà di confrontare il kerygma con le  varie forme culturali e storiche da esso assunte. La storia ha in definitiva una funzione di conoscenza critica. Qui sta il suo contributo più qualificante. In Occidente per essere “credenti maturi” occorre il bastone della consapevolezza storica.

    «Con il senno di poi questi capitoli mi appaiono delle pietre miliari sul vasto territorio che ho percorso in tutti i sensi nei venti anni di un insegnamento costantemente incentrato sulle esegesi di una fonte del XII secolo. Cercando sempre di avere un piede nel passato per guadagnare una prospettiva sul presente, con le parole del mio maestro Paolo Prodi  “e non come un antiquario esperto di un passato caratteristico, ma come uno storico che cerca di far riemergere ciò che del passato è parte di noi”» (Ivan Illich, La perdita dei sensi, Editrice Fiorentina, Firenze 2009, p. 12). Questo è il mestiere dello storico: «Far riemergere dal passato ciò che è parte di noi». Ma se è parte di noi perché farlo riemergere? Non c’è forse già? Sì, ma a questo paradosso si risponde con un altro: la storia non condiziona mai in maniera così incisiva la vita personale e collettiva come quando la si ignora. Allorché si perde il filo genealogico si pensa come immediato ciò che è frutto di accumulo, perciò quest’ultimo condiziona proprio perché non ci si accorge della sua esistenza. Nella biologia l’accumulo evolutivo è tutto dentro così come lo è la neve che forma a poco a poco una valanga; nella coscienza e nella conoscenza vi è invece una grande differenza tra il puro esserci e il sapere che c’è. La funzione critica si situa appunto in questo scarto.

     Nell’ampia intervista che costituisce la prima parte del libro di Paolo Prodi Lessico per un’Italia civile (Diabasis, Reggio Emilia 2008, p. 13), Piero Venturelli afferma che lo storico, nella misura in cui rende gli individui elastici nella comprensione del presente e orienta a prevedere linee di tendenze per il futuro,  ha qualche somiglianze con il profeta. A sostegno di tale proposta si porta un’opinione di  Novalis che attribuiva uno «sguardo umanamente profetico» a chi pratica studi di tipo storico. Paolo Prodi nega la parentela con la profezia se ci si concentra sull’aspetto della previsione, «se invece s’intende la funzione profetica nel senso di contestazione di un potere dominante che anela a imporre una visione uniforme della realtà strumentale al potere  allora sì».   Subito dopo, Prodi propone il suo punto di vista: «Io propenderei a vedere nella storia soprattutto un aiuto per la conoscenza della dimensione temporale dei fenomeni, un semplice strumento, un occhiale necessario [prima aveva precisato  contro sia la miopia sia la presbiopia] per svelare il tempo incorporato nelle cose e nelle idee, cosa non facile per l’uomo comune che è sempre più abbacinato da un “presente onnipresente”».

     Altrove Prodi afferma della profezia qualcosa che svela una qualche affinità tra essa e il compito dello storico che opera sorretto dal senso critico. Per Prodi perché si dia profezia  in senso proprio c’è la necessità tanto di una Chiesa quanto di una sua non diretta identificazione con lo Stato e viceversa. In questo senso la profezia è occidentale e cristiana e non ebraica o musulmana. Trascrivendo l’istanza su altro piano si può affermare che perché la ricerca storica svolga la propria funzione critica occorre che ci sia la separazione tra l’apologetica e la storia, vale a dire che lo storico attui il proprio compito e che la Chiesa ascolti e ne tragga giovamento da una ricerca storica fedele a se stessa. La comunità  ecclesiale, in altre parole, deve rispettare  l’autonomia e la funzione critica della ricerca storica; ciò l’aiuterà a non porre l’assoluto in quello che assoluto non è (le varie manifestazioni storico-culturali di cui è si è rivestito il kerygma). Nel contempo la Chiesa è chiamata a far tesoro del convincimento storico secondo cui il suo presente è frutto di un passato che non è semplicemente suo, vale a dire le è domandato di trarre tutte le conseguenze del fatto che essa sia nel mondo.

                                                                                                                            Piero Stefani                                                                                                              

[i] Intervento svolto a Bologna il 21 aprile 2017 in  un incontro svolto in memoria di Paolo Prodi, con la partecipazione di Matteo Zuppi, Fabrizio Mandreoli, Matteo Prodi, Miriam Turrini, Gian Domenico Cova, Marcello Neri.

 

612 – L’apporto alla Chiesa da parte di uno storico (30.04.2017)ultima modifica: 2017-04-29T07:30:19+02:00da piero-stefani
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