600 – La conversione dell’Innominato -Parte 1a – (05.02.2017)

Il pensiero della settimana, n. 600

La conversione dell’Innominato
(parte I)[1]

La  parola chiave che anima i capitoli dedicati alla conversione del celebre personaggio dei Promessi Sposi è il termine misericordia. La svolta è dotata di una sua ampia incubazione. Non poteva essere altrimenti visto che il protagonista era già sulla sessantina. La lenta preparazione non conduce (siamo all’inizio del capitolo XX) all’emergere di un vero proprio rimorso. Per le sue scelleratezze l’Innominato provava piuttosto un’«uggia». I primi delitti da lui commessi in gioventù gli suscitarono una certa ripugnanza, poi scomparsa quasi del tutto. Per usare un’espressione colloquiale: ci aveva fatto il callo. In età matura si erano però aperte delle fenditure. Non si trattò di una semplice regressione allo stadio precedente; l’atmosfera si era fatta più cupa, si erano ormai da tempo dissolti gli slanci giovanili e soprattutto si era chiusa la possibilità di guardare in avanti.

   Noia e inquietudine non sono sufficienti per condurre a un  mutamento di vita. Perché ciò abbia luogo occorre che intervenga un pungolo esterno. Per comprenderlo conviene rileggere una serie di citazioni o allusioni bibliche disseminate dal Manzoni in questi capitoli. Il fattore esterno capace di rompere il cerchio in cui si è racchiuso l’Innominato non è la premura del cardinal Federigo. L’alto prelato lo dice apertamente quando si autoaccusa di non essere stato lui il primo ad andare a cercare il peccatore. A confermarcelo è anche un passo più allusivo (tratto dal cap. XXIII) in cui si fa ricorso all’immagine evangelica della pecorella smarrita (cfr. Mt 18,12-14; Lc 15, 4-7). Lo scioglimento è già compiuto e l’Innominato si fa scrupolo di essere trattenuto così a lungo dal cardinale atteso da tante anime buone venute da lontano per vederlo e udirlo. Al che Federigo risponde: «Lasciamo le novantanove pecorelle, sono in sicuro sul  monte: io voglio ora stare con quella che si era smarrita». Lo spostamento del riferimento evangelico a dopo la conversione, ribadisce il fatto che il cardinale, in quella circostanza, non fu preso dall’assillo della ricerca del peccatore sviato. In questo caso è stata la pecora smarrita ad andare dal pastore e non viceversa.

   Si potrebbe ipotizzare una maggior vicinanza con la parabola del «figliol prodigo» (Lc 15,11-31). In essa infatti il padre si limita ad attendere; egli infatti corre incontro al figlio solo quando lo vede ritornare. Tuttavia è proprio quest’ultimo verbo a marcare la diversità della situazione. Il modello di conversione simboleggiato dal figlio è quello legato appunto al ritornare (il verbo biblico per eccellenza che connota il pentimento); di contro per l’Innominato la conversione è contraddistinta (nonostante il suo etimo) da un andare. La pertinenza del riferimento alla parabola del «padre misericordioso» è parzialmente negata dal romanzo stesso. Manzoni lo fa, e non sembri un paradosso, proprio quando si riferisce a essa sotto un’altra angolatura. Siamo in una fase più avanzata della narrazione; il compito ora è quello di liberare Lucia e di restituirla ai suoi affetti. Nell’operazione viene coinvolto don Abbondio. Anche in quest’occasione il parroco non muta il suo connaturato atteggiamento timoroso e titubante. All’interno di questo episodio il cardinale, rivolgendosi al curato con un sorriso amorevole, gli dice: «voi siete sempre con me nella casa del nostro buon Padre; ma questo… questo perierat, et inventus est [cfr. Lc 15, 31-32]» (cfr. cap. XXIII). In un certo senso è vero che c’è un qualche accostamento della figura dell’Innominato con quella del figlio prodigo; tuttavia ben più robusta è l’associazione di don Abbondio con il fratello maggiore della parabola evangelica.

   In questa sezione dei Promessi Sposi vi è un’altra citazione biblica esplicita: «haec mutatio dexterae Excelsi» (Sal 77[76],11); è messa sulla bocca del cappellano, appena uscito dalla stanza in cui il cardinale si era intrattenuto a tu per tu con l’Innominato. Il solenne versetto è preceduto da un prosaico «signori! signori!». È stato giustamente osservato che spiegare il ravvedimento del tiranno  con l’appello a un mutamento della disposizione divina, significa ascrivere solo a Dio la sceneggiatura dell’esistenza umana e con ciò stesso negare la responsabilità personale  manifestatasi nella decisione presa dall’Innominato.[2] Che la grazia operi nella conversione è fuori discussione, ma non lo fa scavalcando quanto è proprio del mondo umano. Dio solo sa fare meraviglie (Sal 135,4, cfr. cap. XXIII), esse però avvengono coinvolgendovi in modo attivo le proprie creature.

Piero Stefani

[1] La seconda e ultima parte sarà pubblicata la settimana prossima.

[2] Cf. M. Sarni, L’enigma dell’altro. La Bibbia nei Promessi Sposi, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2016, 128.

600 – La conversione dell’Innominato -Parte 1a – (05.02.2017)ultima modifica: 2017-02-04T08:00:40+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo