509 – Fede e regole sociali (15.025.2015)

Il pensiero della settimana, n. 509

 Fede e regole sociali
     Il vangelo di questa domenica, l’ultima prima dell’inizio della Quaresima, è molto breve. Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: ”Se vuoi puoi, purificarmi!”. Ne ebbe compassione, tese la mano lo toccò e disse: “Lo voglio, sii purificato”. E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: “Guarda di non dire niente a nessuno: va’, invece, a mostrarti dal sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”. Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in città, ma rimaneva fuori in luoghi deserti: e venivano a lui da ogni parte» (Mc 1,40-45).
     Il brano evangelico pone Gesù di fronte a una malattia connotata da un’alta forma di emarginazione sociale. Il fatto in sé non va giudicato un arcaismo. L’isolamento è, a tutt’oggi, una misura adottata di fronte a un morbo contagioso. Basti pensare in proposito all’enorme interesse mediatico riservato qualche tempo addietro all’ebola (ora tutto tace, ma la malattia in Africa è forse scomparsa?). Tuttavia si comprenderebbe ben poco del Vangelo se lo si pensasse con una mentalità degna di un ufficio di igiene. Il punto chiave sta in quello che, con terminologia moderna, potremo definire il rapporto tra fede e società. Per quanto collocato in un contesto storico molto diverso dall’attuale, l’episodio affronta proprio questo tema.
     Il lebbroso chiede di essere purificato (verbo, katharizō impiegato dai vangeli in tutti i casi analoghi). Ci si riferisce quindi al modo in cui la lebbra è presentata dalla Torah scritta (Pentateuco). Come risulta dal Levitico (13-14), essa però non corrisponde esattamente alla malattia che oggi va sotto questo nome. Con questo termine si indicava infatti una vasta serie di fenomeni patologici dotati di evidenti manifestazioni cutanee.
     Gesù, che nella sinagoga di Cafàrnao aveva guarito di sabato l’indemoniato con la sola forza della parola (Mc 1,23-24), qui non esita a toccare il lebbroso. Il contatto è diretto e risanante (Mc 1,41). Il demonio è azzittito perché la sua forza stravolta si trova nella parola (Mc 1,24); il lebbroso è toccato perché il suo male consiste in una muta manifestazione esterna. Il risanamento elimina di per sé la fonte dell’impurità. Per quanto in questo passo la parola «fede» non compaia in modo esplicito, sono pochi i dubbi che la guarigione sia frutto dell’incontro tra la compassione di Gesù e la fede del lebbroso. A questo punto segue il comando di Gesù. Egli, in ossequio alla regola della Torah, impone al risanato di farsi vedere dai sacerdoti (Mc 1,44). L’atto di fede è accompagnato dal vano comando di stare in silenzio, la guarigione comporta invece una pubblica ostensione.
     L’inserimento nella società avviene seguendo le regole comuni del proprio ambiente. Il miracolo deriva da un rapporto diretto con Gesù; tuttavia l’uomo tornato socialmente «normale» è invitato ad accogliere le regole proprie della società ebraica stabilite dalla Legge, non dalla fede. Sia in antico sia oggi la convivenza civile è fondata sul rispetto della legge comune. Non se ne può fare a meno; anche se si può e si deve discutere sulla validità di determinate leggi.
     Alla fine del nostro episodio le parti sembrano in un certo senso invertirsi. Il lebbroso risanato attraverso la Torah è reinserito nel consorzio civile, Gesù invece non rientra in città ma, proprio come un lebbroso, resta fuori in luoghi deserti (Mc 1,45). La compassione, quando è vera (Marco usa qui il verbo splanchnizomai che sarà, per esempio, adoperato da Luca nel caso del «buon samaritano» Lc 10,33), assume sempre su di sé la condizione dell’ “altro” ormai diventato prossimo. Anche dopo la guarigione, il risanatore non dimentica la precedente umiliazione del malato. Il lebbroso se ne va in città e Gesù resta nel deserto quasi a custodire il ricordo di quella sofferenza da cui lui stesso ha liberato il lebbroso. Come negare la pertinenza spirituale di questa lettura che pure non è nelle condizioni di rivendicare a se stessa alcun autentico rigore esegetico?

Piero Stefani

 

509 – Fede e regole sociali (15.025.2015)ultima modifica: 2015-02-14T09:54:40+01:00da piero-stefani
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